Casa

È rimasto ancora qualche pacco da disfare, qualche altra cosa da sistemare, ma il grosso è andato.

Anche se mi sono trasferito ufficialmente in questa casa da circa un mese ormai, il tempo da poter dedicare alla sistemazione è stato poco.

Ci sono periodi in cui le giornate vanno avanti per mesi e anni un po’ letargiche, tutte più o meno uguali, quasi per inerzia, ed altri in cui vivi un vortice di cambiamenti che ti risucchia, e quando ti sputa altrove, quasi non ti rendi conto di come sia successo, a stento tenendo il timone.

Nel mio caso non è nessuna delle due situazioni.
Erano dieci anni che stavo lavorando coscientemente e quotidianamente per arrivare ai cambiamenti odierni. Sono proprio io che ho voluto condurli tutti insieme, per farli convergere nello stesso punto spaziotemporale, in cui viverli come un unico grande cambio di mondo, e annegarci dentro nel momento culminante.

Ogni tanto è interessante farlo, quando ti stanchi di te stesso.
Ti butti lì, in qualche ignoto abisso del tuo altrove, come un sacco dell’immondizia. Ti ci perdi, ti frulli insieme alla fantasmagoria di ricordi e desideri che ci trovi, e ti dai fuoco. Dopodiché, tolta la cenere, non resta che la piccola sfera, l’essenza eterna che sei, linda e pinta. Un uovo multidimensionale nel vuoto cosmico. E da qui ne esci fuori nuovo, rinato.
Una botta di vita, una nuova avventura.

Comunque la nuova casa non è proprio una classica casa.
È un vecchio capannone industriale in disuso. Misura 30 metri di lunghezza, 20 metri di larghezza e 10 metri di altezza, ed è situato al centro di un terreno di 3000 m². Tolti i 600 m² occupati dal capannone, restano 1400 m² di bosco e 1000 m² di terra, parte della quale battuta e parte no.
Il tutto, isolato da altre case per un raggio di circa 100 metri, si trova in una zona tra Lacco Ameno e Forio, ai piedi del versante nord-ovest del Monte Epomeo. Alle spalle si estende un bosco di querce e castagni, che arriva fino alla punta del monte, e che include anche la piccola porzione appartenente alla proprietà. Di fronte, la vista si apre sui due comuni, fino al tramonto sul mare.

Volevo vivere in un capannone così da quando ero poco più che ventenne, e non riuscivo a prendere nemmeno un monolocale in affitto, mentre da una parte lavoravo per pochi spicci e dall’altra portavo avanti i miei progetti.
Da allora, nella tipica fiducia dello squattrinato pieno di sogni che ero, non ho mai smesso di guardarmi intorno per individuarne uno, anche solo per iniziare a proiettarmici.
Lo volevo spettrale e in totale stato di abbandono, in una zona sperduta di una qualche grande metropoli in cui nessuno mi conoscesse, magari da occupare, per farci una vita underground, in solitudine o quasi, e invisibile al resto del mondo.

Oggi invece ne prendo uno come farebbe una persona normale, inserita nella società.
Mi informo presso un po’ di professionisti sullo stato legale e strutturale dello stabile, discuto le condizioni dell’accordo col proprietario, firmo un contratto, organizzo il trasferimento.
Anche se non è andata esattamente così fin dall’inizio. È che lo spirito mi resta selvaggio. Ma per ora sorvolo su come ho approcciato la prima volta a questa struttura, un anno fa circa ormai.

È cambiato il modo di muovermi nella società, da quando ho imparato a starci e ad essere anche un normale cittadino, ma non è cambiato il desiderio di vivere una roba del genere, a modo mio.
I motivi non erano ben chiari ieri, e ancora oggi non lo sono del tutto, alla mia mente. Era e resta anzitutto un input di spirito, ma tanto basta.

La strada me l’ha sempre battuta lo spirito, attraverso intuito, intimo sentire e immaginazione, che hanno delle ragioni tutte loro.
La mia mente, ricca di qualità e potenzialità, come quella di chiunque, è un formidabile strumento, ma se non arriva ancora a capire le ragioni del mio spirito, non è un problema.
Anzi, il verificarsi di questa circostanza in genere mi si rivela poi essere il segno che la strada è quella buona, se quel che voglio è scoprire un nuovo aspetto, un nuovo mondo, una nuova dimensione, dentro e fuori di me, oltre il mio limite di esperienza e sapienza attuale, e così crescere in tutte le direzioni. Altrimenti non sarebbe nuovo, non sarebbe una scoperta, e non desterebbe meraviglia nella mente stessa, aprendola a nuovi orizzonti.

Al momento l’ho preso in affitto, a determinate condizioni.
Quando mi sono trovato faccia a faccia con uno dei proprietari e gli ho spiegato che ero interessato al capannone come abitazione, ha considerato la cosa un po’ strana. Perché qualcuno dovrebbe voler vivere in un posto del genere?
Ho cercato di fargliela semplice. Gli ho detto che volevo vivere in un ampio open space e in una zona moderatamente isolata. Che poi è la verità, vista da una certa prospettiva.

Lui mi ha detto che stava cercando di locarlo a qualcuno che ne facesse un uso industriale, nonostante fosse legalmente utilizzabile anche come residenza.
Non ne ha fatto una questione di principio, quanto più che altro di costi, presumibilmente troppo alti per una singola persona non intenzionata a farne una fonte di ricavi.

Insomma, mi stava invitando a calare le carte, cercando di capire cosa facessi per vivere e quanto fossi disposto a spendere.
Io ho colto l’invito, ma ho calato lo stretto necessario. Gli ho detto che per me avremmo potuto parlarne. Quindi gli ho chiesto le cifre, sia dell’affitto che della vendita, nel caso stesse considerando anche quest’ultima ipotesi.

Quando mi ha sentito parlare di vendita, ha cambiato atteggiamento, anche se non lo ha dato troppo a vedere.
Era evidente che se ne volesse disfare. Ma questo già lo sapevo, era tra le informazioni che avevo ottenuto.

I proprietari, i Van Woud, sono originari di Rotterdam.
Hanno ereditato questa proprietà dai genitori, che ci hanno condotto un’industria tipografica per qualche decennio.
Passata ai figli, nessuno ha voluto seguire le orme di famiglia e rilevare l’attività. Dunque hanno preferito liquidarla, per recuperare subito quanto più possibile, dopodiché hanno incaricato uno tra loro di occuparsi della struttura. Si tratta di Ruud Van Woud, quello con cui mi sono relazionato.

Ruud ha sempre cercato di darla in affitto, anche attraverso le agenzie, senza però mai riuscirci. Così il capannone è rimasto per anni in disuso.
Un po’ per questo, un po’ per la volontà di liberarsi dell’impegno, e un po’ per ricavarci qualcosa, dopo anni di perdite per le spese di proprietà, vorrebbe anche e soprattutto vendere.

Perciò mi sono mostrato interessato anche ad un eventuale acquisto; sia per farlo ben disporre, sia perché ero davvero intenzionato a valutare questa opzione, anche se non per l’immediato.
Mi premeva soltanto iniziare a metterci un piede dentro.

Non si è fatto pregare troppo, a quel punto, e ha deciso di andare al sodo.
Mi ha chiesto 5.000 € per l’affitto mensile di tutta la proprietà, capannone, terreno e bosco, e 1.500.000 € per la vendita.
Nel range di prezzi che avevo ottenuto dal consulente al quale mi ero affidato per la valutazione, queste cifre rientravano perfettamente.
Le minime si attestavano su 5.000 € per l’affitto e 1.200.000 € per la vendita, mentre le massime rispettivamente su 10.000 € e 1.700.000 €.

Tutto sommato onesto.
Si è mantenuto sulla valutazione minima per l’affitto – probabilmente ha voluto considerare che ne avrei fatto un uso residenziale e non commerciale – e su una valutazione media per la vendita.
Una buona strategia per ottenere almeno un mensile, che è meglio di tenerlo ancora vuoto e in perdita.
Voleva davvero darlo, in qualunque modo, ma senza svalutarlo troppo in caso di vendita.

È un capannone dalla struttura ancora solida, per quanto vecchiotta e con manutenzione ridotta al minimo; sicuramente da ristrutturare e adeguare, per farne una vera abitazione, a partire da impianti ed alcuni ambienti.
Così, considerando tale situazione, e volendo arrivare ad un accordo buono per entrambi, gli ho fatto la mia proposta.

Ho acconsentito ai prezzi da lui stabiliti, senza contrattare al ribasso, ma gli ho chiesto di venirmi incontro su una richiesta, cioè un contratto rent to buy per cinque anni, senza obbligo di riscatto.
Significa che per la durata del contratto posso esercitare il diritto, e non l’obbligo, di riscattare la proprietà, sottraendo al pagamento totale quanto già versato durante il periodo di locazione.

Ha accettato subito proposta e condizioni, ma con l’aggiunta di una clausola.
Ha chiesto il diritto di vendere a terzi, con conseguente decadenza del mio contratto, nel caso qualcun altro dovesse avanzare una proposta di acquisto durante i cinque anni, e io non avessi ancora esercitato il mio diritto, garantendomi però di informarmi e darmi priorità, dunque la possibilità di decidere se riscattare – ma pareggiando l’altra offerta, se più alta del prezzo fissato con me – o lasciare definitivamente.

Ho accettato la clausola, ma chiedendo di modificarla.
Se dovesse esserci l’offerta di un altro acquirente, ed io, informato, decidessi di esercitare il riscatto, lo farei comunque al prezzo concordato di 1.500.000 €, dunque esente dal dover pareggiare l’altra offerta.

In questi casi non è inusuale che il proprietario chieda ad un complice di fare, ad un certo punto del periodo di contratto, una falsa offerta di acquisto più alta, che non andrà mai in porto, solo per vedersela pareggiare dall’unica persona realmente interessata, e in tal modo non solo affrettando la vendita, ma concludendola ad un prezzo maggiorato rispetto a quello precedentemente concordato.
Certo, in tal caso io potrei andare a vedere il bluff, lasciando che proceda con l’altra offerta, per poi magari sentirmi dire che non se ne è fatto niente, e avrei ancora il mio contratto in mano. Però diventerebbe una situazione cervellotica, spiacevole e seccante, a cui dover stare dietro con un gioco di spionaggio che non ho nessuna voglia di fare.
Ruud non mi è sembrato un tipo disonesto, ma ho preferito eliminare ogni dubbio e puntare ad un risultato sicuro e immediato.

A questo punto ha titubato, e dopo alcuni secondi di riflessione mi ha detto che avrebbe dovuto consultarsi con la famiglia. Si sarebbe fatto vivo lui.
Forse un tentativo di fare pressione, non so, ma non me ne sono curato. Non aveva mai ricevuto offerte concrete, per quello che ne sapevo, prima della mia.
Gli ho lasciato il mio numero e gli ho detto che avrei aspettato sue notizie.

Mi ha chiamato tre giorni dopo, dicendomi che accettava le ultime condizioni da me poste, e chiedendomi di vederci quanto prima per avviare tutte le pratiche.
Nel giro di un mese abbiamo completato l’iter, tra avvocati, notaio e tutto il resto. Abbiamo finito ieri.
E intanto ho anche fatto il trasferimento delle mie cose. Poca roba in realtà, principalmente la workstation per lavorare, vestiti e la mia biblioteca personale, tutta sistemata nelle scaffalature industriali che ho trovato qui.

Insomma, ho il mio bel contratto, e cinque anni per poter riscattare questa meraviglia vecchia e trasandata, da cui ora sto scrivendo.

Non è il massimo dell’abitabilità, ce ne vorrà per renderla una vera e propria casa confortevole, ma l’importante adesso era entrarci. Il resto verrà.
Per ora mi godo l’ambiente spettrale e underground. I lavori e l’arredamento li farò se e quando eserciterò il riscatto. Fino ad allora non vale la pena farci grosse spese, oltre quelle indispensabili.

Certamente costa tanto, sia l’affitto che l’eventuale acquisto, ma sentivo di voler stare qui, almeno per ora. E poi la nuova attività lavorativa, avviata da due anni ormai, sta andando molto bene e me lo consente.
Senza contare la proposta di lavoro di Ray fattami durante il mio compleanno. Aldilà dei miei dubbi, è una bella offerta economica.
Dovessi accettarla, potrei esercitare il riscatto anche immediatamente, senza mettere mano al saldo attuale del conto.

Ad oggi non ho ancora avuto modo di rifletterci bene, ma avevo avvisato Ray che avrei avuto un periodo un po’ incasinato, e che non avrei potuto dargli risposta a stretto giro.
Per correttezza l’ho anche invitato a cercare qualcun altro, magari più convinto di me ad accettare il lavoro e disponibile ad iniziarlo fin da subito.
Lui però mi ha detto di prendermi il tempo necessario per pensarci, senza darmi termini ultimi. Inoltre mi ha dato carta bianca su praticamente tutto, pur di farmi accettare.
Ha proprio bisogno che me ne occupi io, per vari motivi.

Anche per questo non voglio farlo aspettare oltre.
Passato questo mese turbolento, adesso posso finalmente valutare la proposta con la dovuta attenzione.
Penso che riuscirò a dargli una risposta entro i prossimi giorni.

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